Tempere su carta
Già alla fine degli anni Sessanta, Marisa Bello (…) svolgeva percorsi grafici e pittorici intorno all’iconografia popolare della sua terra. Un gusto non tanto tradizionalista, quanto inteso a ricreare, attraverso stimoli nuovi e forme pungenti, l’humus, le tensioni, le pulsioni, le memorie dell’animo popolare. Con i Tarocchi (…) la Bello scopre una vena ancora più rigogliosamente vivace, attraverso una sciolta scansione di piani e di colori. Il blu cobalto, i gialli, i rossi accesi, i verdi giocano un ruolo primario in questa rivisitazione dei 22 arcani maggiori.
Giuseppe Turroni
La costante, la variazione e il topo d’avorio
Pare che porti bene anche a chi non ci crede diceva Lagrange del suo cornetto portafortuna. E De Martino la <<bassa magia>> non la studiava solo tra i contadini lucani, ma anche tra la borghesia intellettuale di Napoli. Che voglio dire? Che lo scrigno dell’anima di tutti noi somiglia troppo alla borghesia montaliana di Dora Markus, che tra la matita delle labbra, il piumino e la lima, porta sempre con sé un topo d’avorio (<<e così esisti!>>).
Un piccolo dio personale è stato tra le prime armi che l’uomo paleolitico si è legato al collo appena ha capito che la clava e il fuoco non bastavano a proteggerlo dal Grande Orso o dalla Grande Notte, che avrebbe inghiottito la sua esistenza. E così, dalla sua borsetta, tirò fuori un mazzo di lamine con segni cifrati, che hanno l’aria di interpretare il mondo e il destino e che, invece, senza darlo a vedere, riescono a parlare con lo scontroso bambino, pauroso e umbratile, che abita nelle nostre stanze più segrete. Per cui mi accordo con Dossena quando paragona l’esercizio della cartomanzia (fosse anche un semplice solitario) allo Zen e al tiro dell’arco.
L’arciere deve superare la sua tecnica, farla diventare <<arte inespressa>> che sorge dall’inconscio. Così anche il giocatore non deve essere una realtà contrapposta al mazzo di carte. Se non proprio autoanalisi, il gioco fa sicuramente autopunizione per Dostoevskij e anche Tolstoj meditava a lungo giocando da solo. Napoleone (come non citarlo?) inventò, pare, cento solitari a S. Elena, struggendosi, forse, a riconsiderare, uno per uno i suoi infausti Cento Giorni. De Gaulle, invece, (come qualche nostro politico) barava ai solitari perché non voleva perdere neanche con loro.
Questa dunque la <<costante>>. Ma carte e tarocchi hanno anche un altro destino cromosomico: la <<variazione>>.
Oggetto unico e molteplice, le carte confermano la loro iconografia e la loro funzione al desiderio dei fruitori: magiche, ludiche, didattiche, politiche, satiriche, turistiche, erotiche, nobili, plebee…
La riproposta, che ora ne fa Marisa Bello, scarta ogni univocità e punta decisamente sulla <<variazione>>, anzi su una certa furia onnivora, che morde spunti da fonti storicamente assai diverse: Villa dei Misteri (la Forza) e Bruegel (la Torre); la citazione nervosa e quasi parodica di alcuni stilemi duecenteschi e soluzioni rapide da fumetto; la ferma postura , ironicamente araldica, di alcuni Arcani (il Carro...) e l'anarchia dinamica di altri (la Luna...). E sempre con una strana voglia di contaminazione, che scompiglia anche le figure più tradizionali: il Bagatto, che non se ne sta seduto come negli altri mazzi, ma salta in aria come un Matto; la Papessa, effigiata qui come una Eremita…
Marisa Bello, insomma, attraverso la <<variazione>>, usa le carte nella loro costante: colloquiare – come diceva Cocteau – con l’inquieto che ci abita.
Giuseppe Rocca
Incisioni a puntasecca
Della puntasecca si parla già nel
secondo ‘400.
È un’ incisione
che si fa direttamente su rame
(senza usare alcun acido)
con una semplice punta
e le differenti pressioni
e posizioni della mano.
Ne risulta cosi una matrice fragile
ed è questa la ragione per cui
le tirature della puntasecca
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