lunedì 30 novembre 2015

Materia in mutamento - 8

olio su tela - cm. 35x50

Per riannodare i fili di un discorso sfilacciato possiamo cominciare a precisare alcune parole chiave che ci aiutino a rendere più comprensibili le problematiche fin qui poste. La prima è la parola distanza.

DISTANZA: come già detto in altro intervento (qui) nella pratica del dipingere si può intravedere l’aspirazione ad essere capacità di distanziazione dalle cose, dalla realtà, dal mondo e quindi di creazione di libertà e di possibilità. Come scrive Aby Warburg “Introdurre consapevolmente una distanza tra l’Io e il mondo esterno è ciò che possiamo senza dubbio designare come l’atto fondatore della civiltà umana; se lo spazio così aperto diviene substrato di una creazione artistica, allora la consapevolezza della distanza può dar luogo a una duratura funzione sociale, la cui adeguatezza o il cui fallimento come mezzo di orientamento intellettuale equivalgono appunto al destino della cultura umana.” Se questo è vero allora il dipingere può essere considerato come atto rituale che perpetua quel primigenio atto fondatore della civiltà. Un rito che si prefigura come progetto consapevole del nostro precluderci all’intimità col mondo, con la cosiddetta natura. Al contrario di quanto spesso si pensa, non empatia, fusione, ma all’opposto, arte come opera di disincanto, di straniamento, nel senso di renderci le cose estranee, meno familiari. Riprendere ciò che si vede non per avvicinarlo ma per frapporre tra noi e questo quel qualcosa che ce lo distanzia, allontana, rende irraggiungibile. Ed è qui che possiamo inanellare un’altra parola chiave al nostro discorso, il termine VALORE, inteso come valore dell’arte. Quella cosa a cui così spesso ci si richiama e che muove masse di persone a fare la fila per ammirare un’unica opera che si vuole ricoperta di aura sacrale. Nel congiungere questo valore con un che di sacro sorge l’equivoco, l’inganno di poter accedere a qualcosa di oltreumano, a un luogo che si pone al di là della storia, a cui noi possiamo sperare di accedere appunto attraverso l’arte.   Ma il valore artistico sta invece proprio nel rendere operabili spazi di realtà che divengono edificabili con le nostre immagini. È un operare, quello artistico, che tende a delocalizzare il sacro da ciò che si vede, da ciò che sta di fronte a noi, oltre i confini dell’operabile per rimanere a noi invisibile e indicibile.  Ed è per questo che l’arte non può morire; possono essere distrutti i singoli manufatti ma è la sua storica necessità che la fa sopravvivere, coniugandosi con le varie forme che il procedere umano le conferisce.


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